Omelia nella Festa diocesana dellammalato Solennità dellAscensione del Signore Unzione degli infermi
- Novellara, Collegiata Santo Stefano
12.05.2013
Cari fratelli e sorelle,
sono contento di essere qui con voi questa sera. Saluto don Agostino Varini, mio delegato per la pastorale sanitaria. Lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto e per il suo prezioso lavoro. Assieme a lui, saluto con affetto il parroco, don Carlo Fantini e tutti i sacerdoti che concelebrano questa santa Messa.
Questa sera mi rivolgo soprattutto a voi, cari ammalati. Nello stesso tempo non dimentico i vostri famigliari, i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari qui presenti. Un saluto grato anche ai diaconi, ai ministri straordinari dellEucarestia, alle religiose e a tutte le confraternite e associazioni di volontariato che con la loro opera testimoniano la carità che nasce dalla fede, attraverso una compagnia paziente a chi soffre.
Perché una festa diocesana dellammalato? È forse motivo di festa la malattia e la sofferenza? Siamo qui perché non vogliamo vedere nel dolore solo e soprattutto un segno di morte, ma una possibilità di offerta di noi stessi, una strada per condividere la vita dei nostri fratelli. Cristo, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, ci ha salvati proprio attraverso la sua sofferenza, morte e resurrezione. Egli è venuto per coloro che sono malati (cfr. Lc 5, 31-32), per ognuno di noi. Egli è venuto a dirci che la malattia e la sofferenza, che sembrano contraddire la nostra sete di vita e di bene, non sono il nostro destino definitivo.
Quando recitiamo il santo Rosario, sappiamo che ai misteri dolorosi seguono sempre i misteri della gloria. Dio non si dimentica di noi, non ci abbandona nel buio della nostra sofferenza. Ma, anche attraverso di essa, ci conduce verso la luce e la gloria. Io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo (Mt 28,20).
La Lettera agli Ebrei ci ricorda che non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato (Eb 4,15). Il Figlio di Dio, incarnandosi, ha assunto la nostra condizione mortale e nella sua passione ci ha svelato il valore salvifico della sofferenza vissuta in unione con lui.
Cari fratelli e sorelle, non cedete mai alla tentazione dello sconforto e della disperazione! Chiedete nella preghiera la forza per vivere assieme a Gesù la vostra malattia. Offrite le vostre sofferenze per coloro a cui volete bene, per nostra Chiesa. In particolare vi chiedo, se volete, di impetrare da Dio il dono di vocazioni sacerdotali per la nostra diocesi. La vostra preghiera, purificata dalla sofferenza vissuta con fede, raggiunge per una via più diretta il cuore di Gesù. È per questo che voi occupate un posto importante nella nostra Chiesa. È per questo che anche il vescovo desidera affidarsi alla vostra preghiera.
Abbiamo ascoltato nella seconda lettura: Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso (Eb 10,23). Di quale promessa si parla? Gesù ha sofferto ed è morto. Ma è anche risorto e oggi lo contempliamo alla destra del Padre. È questa la promessa che egli fa alla nostra vita: nellAscensione di Gesù la nostra condizione di uomini e donne entra, attraverso lumanità di Cristo, nel seno stesso della Trinità. Tutti siamo destinati alla vita divina. Una vita di cui possiamo vivere un inizio reale già ora, nella comunione fraterna e nei sacramenti che ci introducono ad essa.
Tra poco vi amministrerò il sacramento dellUnzione degli infermi. È il segno efficace di tutto quanto vi ho detto finora: Dio non vi abbandona, vi è vicino. Attraverso la carità di Cristo e di coloro che si prendono cura di voi. Lui stesso, poi, attraverso lunzione di questa sera, vi dona una sua carezza, vi riempie della sua forza e alimenta la speranza del vostro cuore.
Amen.
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