Memoria della Beata Maria Rosa Pellesi
01.12.2013
Cari fratelli e sorelle,
sono molto contento di celebrare assieme a voi la prima domenica di Avvento nella memoria della beata Maria Rosa Pellesi. Saluto con affetto tutte le sorelle della congregazione delle Francescane Missionarie di Cristo, in particolare la Vicaria generale: suor Maria Lorenza Vecchi; la postulatrice: suor Maria Gabriella Bortot; la direttrice della scuola: suor Cristina Fiandri.
«Che Gesù Signore agisca in me per costruire sulle macerie della mia miseria, quel capolavoro che Egli si è prefisso fin dall’Eternità». Queste parole che la nostra beata ci ha lasciato costituiscono l’introduzione più bella al tempo che da oggi la Chiesa ci invita a vivere. Che cos’è, infatti, l’Avvento se non il tempo in cui lasciare che il Signore agisca costruendo in noi e attorno a noi il suo Regno di luce?
La vita della vergine francescana è interamente descritta da questo desiderio.
Sin da bambina, la piccola Bruna, ultima di nove figli, avverte un’attrazione profonda per la bellezza, espressa soprattutto nel canto. «Una cosa era tipica di casa nostra – racconta –, come il nostro distintivo che ci accompagnò per molti anni: il canto. Quanto si cantava a casa, nei campi, passeggiando di giorno e di sera! Si cantava con una grande, sincera serenità… In campagna, durante i lavori, e alla sera, dopo cena, in cucina vicino al fuoco, oppure al tepore della stalla, si facevano dei cori meravigliosi».
In questo clima familiare, fatto di lavoro, preghiera e canto, crescono in lei quelle virtù quotidiane che, nell’incontro con Cristo, diverranno – come ha detto il cardinal Saraiva Martins il giorno della sua beatificazione (29 aprile 2007) – «un capolavoro di umanità e di amore, di abbandono e di obbedienza, di mansuetudine e di fortezza».
I suoi familiari la descrivono «bella, di buon umore, sempre in vena di ridere e di cantare, amante della moda e dell’eleganza, corteggiata dai giovani del paese… Una lavoratrice formidabile, sempre in moto. Passo svelto come di colui che non ha tempo da perdere… prima nell’attenzione amorosa per gli altri. Sapeva sempre comprendere, molto scusare… Scherzosa e allegra, mai però volgare… si faceva seria di fronte a parole o scherzi equivoci e volgari».
In realtà era una ragazza normale, che cercava la felicità. «Ero giovane, vanitosa e capricciosa – scrive –, con tutti i difetti di quell’età. Solo il Signore sa quanto soffrivo perché sentivo che Gesù non era contento di me, ma nonostante tutto continuavo ad essere cattiva». Nella prima giovinezza, pur recalcitrando, sente di potersi realizzare solo donandosi interamente al Signore. E per questo rifiuta le proposte di matrimonio: «avevo nell’anima la certezza – dirà poi suor Maria Rosa – che sarei stata ad ogni costo tutta di Gesù».
Entrò così in convento, tre le Suore Terziarie Francescane di S. Onofrio – che in seguito, su sua proposta, si chiameranno Francescane Missionarie di Cristo – con il desiderio vivo di diventare santa, cioè di unirsi alla vita e alla passione del suo Signore. «Va’, e fatti santa – le aveva detto sua madre quel giorno – perché solo per farti santa puoi lasciare la tua mamma».
Dopo aver lavorato nei primi tre anni di professione religiosa con i bambini delle scuole materne di Sassuolo e di Modena, una grave forma di tubercolosi polmonare la costrinse a vivere in un sanatorio, dove rimarrà per ventisette anni, fino alla fine della sua vita. Ogni tre mesi era costretta a dolorosissime operazioni chirurgiche. Sopportava senza mai lamentarsi migliaia di toracentesi per l’estrazione del versamento pleurico. Gesù, fin dall’inizio della sua vita religiosa, la fa entrare nel mistero della sua passione e lei, con gioia si offre a Lui per la salvezza del mondo.
«Come simbolo della sua crocifissione nella carne – scrive di lei il cardinal Martins – le rimase, per 17 anni, conficcato nel torace, un frammento di ago spezzatosi per errore medico, durante la quotidiana estrazione che lei, da umile agnella – come desiderava essere – chiamerà “la mia lancia”».
Ma suor Maria Rosa, pur nel dolore continuo a cui le sue condizioni fisiche la costringevano, vive contemporaneamente anche l’esperienza della resurrezione. Per questo nell’angusto ospedale in cui è costretta a trascorrere la sua vita religiosa, diventa una luce per tutti gli altri degenti. Il suo cuore missionario si allarga fino a voler comprendere tutta l’umanità. «Vorrei abbracciare il mondo» – diceva.
Gesù ha ascoltato la sua preghiera e oggi noi contempliamo la sua testimonianza e la sua luce nella gloria dei santi.
Chiediamo al Signore di donarci in questo tempo di Avvento la stessa passione amorosa che ha animato la sua sposa. Chiediamo di attendere la sua venuta vigilanti e operosi, indossando le armi della luce – come oggi ci ha detto san Paolo. Aderendo con semplicità e amore, come la beata Maria Rosa Pellesi, a ciò che giorno per giorno il Signore ci chiede. Amen.
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