Chiesa di san Girolamo – Reggio Emilia, 30 settembre 2020
Cari fratelli e sorelle,
celebriamo oggi la festa di san Girolamo a 1600 anni dalla sua morte. Lo facciamo in questo luogo, così significativo per la nostra città e per la nostra diocesi. Esso ci ricorda la Terra Santa, dove Girolamo ha trascorso tanta parte della sua vita ed è infine morto. Questa, “Gerusalemme di Reggio”, ci rimanda al legame profondo tra la Parola di Dio – di cui Girolamo è stato esimio studioso e traduttore – e la terra in cui quella Parola ha visto la luce. Questo binomio – Parola di Dio e Terra – attira la nostra attenzione sulla carnalità del cristianesimo, sulla sua concretezza e quindi sul mistero dell’Incarnazione, come ci ha ricordato anche la profezia di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Questo luogo, dunque, è come un monito a non separare mai l’amore per la Scrittura dall’amore a Cristo presente e vivo nei suoi sacramenti e nella sua Chiesa. In lui, infatti, la Parola di Dio si è fatta carne e nella “terra” della Chiesa, suo corpo, rimane per sempre incarnata. Ogni volta che separiamo la conoscenza delle Scritture dalla conoscenza di Cristo, le Scritture rimangono mute e Cristo diviene un enigma indecifrabile.
Tutte le biografie di san Girolamo, oltre a mettere in evidenza la sua erudizione, il suo carattere appassionato e polemico e il suo ascetismo, sono concordi nel sottolineare il binomio tra la vita monastica, da cui Girolamo si è sempre sentito attratto, e lo studio. La preghiera, cioè, come studio e lo studio come preghiera. Colui che prega è simile al padrone di casa di cui Gesù parla nel Vangelo che abbiamo ascoltato. Egli estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (Mt 13, 52). «Voglio imitare il padre di famiglia, che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e vecchie»[1], scrive Girolamo. Il tesoro è Cristo, colui che è nello stesso tempo l’oggetto della promessa antica e il compimento nuovo di essa. Colui nel quale, come dice san Paolo, sono racchiusi tutti i tesori della sapienza e della scienza, colui in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,3.9).
In una lettera di san Girolamo leggiamo: «Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera»[2]. Penso che oggi dovremmo riscoprire questo nesso fondamentale della vita cristiana. Lo studio, infatti, oltre a nutrire la preghiera, ne è esso stesso una forma privilegiata. Questo è certamente vero per lo studio della Sacra Scrittura, ma lo è in realtà per ogni forma di studio. «Nel volume di Isaia – scrive Girolamo – è contenuto tutto quello che la lingua umana può pronunciare, tutto quello che la debole mente umana può concepire. Tutta la filosofia, la metafisica, la cosmologia, l’etica sono contenute nelle Scritture»[3]. Se tutto è stato creato in Cristo e per Cristo (cfr. Col 1, 16), entrare nelle leggi della fisica e della matematica, esplorare il mondo della biologia, delle scienze e dell’astronomia, seguire il cammino della storia e l’espressione dell’animo umano nella filosofia e nella letteratura, sono tutti modi per studiare Cristo, avvicinarsi a lui come «centro del cosmo e della storia»[4].
Occorre tornare a insegnare ai nostri giovani che il primo luogo in cui possono accostarsi al mistero di Dio è la scuola e l’università. Che la serietà, la passione e l’offerta del loro studio sono un’espressione privilegiata del loro cammino verso l’infinito e della loro realizzazione umana. Certo, tutto questo non è scontato: occorre incontrare dei maestri che ci introducano in questa dimensione dello studio. Come sappiamo, la scuola e l’università possono essere dei luoghi in cui si incontra il fascino della verità o la menzogna delle ideologie. Sono i maestri a fare la differenza.
Oltre al tema dell’incarnazione e quello dello studio, vorrei infine sottolineare un altro aspetto a cui la ricca figura di san Girolamo ci rimanda. Egli è un maestro e un dottore della Chiesa perché ha riconosciuto l’importanza di guardare all’origine: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all’originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo Patto. Allo stesso modo per l’Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini, ci appelliamo al testo originale, l’ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli»[5]. Questa considerazione, che ovviamente si riferisce innanzitutto al lavoro di traduzione dei testi sacri, descrive in realtà una verità che illumina ogni aspetto della vita. È solo la vicinanza alla sorgente che permette alla vita di fiorire. È solo il nesso con l’origine che rende originale e quindi feconda e vera ogni nuova espressione dell’esistenza. Mi viene in mente la figura del venerabile Carlo Acutis che diceva spesso «Tutti nasciamo originali, ma molti muoiono da fotocopie» proprio perché perdono il nesso con l’origine, con Cristo, e così perdono anche l’unicità e la bellezza del loro volto.
San Girolamo ci insegna questa verità con la sua stessa vita: la sua fedeltà, quasi maniacale, ai testi originari e l’atteggiamento orante con cui ha sempre accostato la Scrittura, hanno fatto di lui un vero novatore e hanno reso la sua opera tanto feconda che, come ha scritto Benedetto XVI, la sua traduzione della Bibbia – la cosiddetta Vulgata – anche «dopo la recente revisione, rimane il testo “ufficiale” della Chiesa di lingua latina»[6].
Auguro a tutti noi di imparare da Girolamo questo amore per le sorgenti della nostra fede così che anche noi, come lui, possiamo indicare agli uomini del nostro tempo Cristo presente e vivo nella sua parola, nei suoi sacramenti, nella sua Chiesa.
Amen.
[1] Ivi
[2] S. Girolamo, Ep. 107.
[3] Cfr. S. Girolamo, Commento al Profeta Isaia, 1-2.
[4] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica “Redemptor hominis”, 1.
[5] S. Girolamo, Ep. 106, 2.
[6] Benedetto XVI, Udienza generale, 7 novembre 2007.