Reggio Emilia, Basilica della Ghiara, 15 ottobre 2020
Eccellenze Rev.me,
cari sacerdoti e diaconi,
cari fratelli e sorelle,
il mio saluto speciale ai superiori della Congregazione mariana delle Case della Carità e a tutti gli ausiliari che oggi riceveranno il crocifisso, alle famiglie che rinnoveranno il loro impegno, ai secolari e ai consacrati che rinnoveranno i loro voti. Tra questi ricordiamo in particolare suor Rossella, che oggi rinnova i voti temporanei, e sr. Katia che celebra 25 anni di consacrazione.
Siamo qui raccolti nell’annuale festa di santa Teresa d’Avila, scelta dalla vostra comunità come una data significativa per raccogliere tutti i membri della vostra famiglia attorno all’altare per lodare e ringraziare il Signore della sua fedeltà e della sua continua assistenza.
Santa Teresa di Gesù è da voi riconosciuta come uno dei riferimenti principali del vostro carisma a cui don Mario e suor Maria hanno guardato, dei cui scritti si sono abbeverati, arrivando così a chiamare il ramo delle sorelle “Carmelitane Minori della Carità”. Lasciamoci perciò condurre dalla liturgia di questa festa per accogliere ciò che il Signore vuol dire a tutti noi. In essa ci è annunziata e assicurata una continua effusione dello Spirito, affinché si compia quello che Dio ha donato in modo definitivo nella croce e nella resurrezione di suo Figlio. Da una parte noi gemiamo aspettando l’adozione a figli (Rom 8, 23): vediamo in noi e attorno a noi tanti aspetti della nostra personalità e della nostra vita comune che devono ancora essere sanati e purificati. Ciò che è vero per ogni piccola o grande comunità della Chiesa è vero per tutta la Chiesa, corpo di Cristo. In lei il Signore vive la passione sino alla fine del mondo. Le nostre divisioni, le maldicenze, i nostri sogni di un paradiso anticipato, le nostre stanchezze – i nostri peccati, insomma – piuttosto che provocare in noi scandalo o delusione, tristezza o depressione suscitino invece un desiderio di sincero pentimento – un gemito, come dice san Paolo (cfr. Rom 8, 23) – e ottengano così da Dio che le radici del peccato possano essere estirpate dai nostri cuori e fiorisca in noi solo ciò che è gioia, carità, luce e santità.
Per tutte queste ragioni, la liturgia di questa sera ci invita a rallegrarci. Siamo noi quel deserto e quella terra arida che è chiamata a fiorire e a cantare (cfr. Is 35,1-2). Non è, questa, solo un’aspirazione. È già realtà. La gloria del Signore e la magnificenza del nostro Dio, di cui parla il profeta Isaia (cfr. Is 35, 2), sono già in mezzo a noi, nelle nostre case, nei volti sorridenti o disfatti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Nella dedizione nascosta – e per questo ancor più preziosa – di tanti di noi, consacrati e laici, già appare e vive la nuova Gerusalemme.
Ad una lettura superficiale della nostra vita, potremmo dire che gli occhi dei ciechi fra noi non si aprono, che gli zoppi non saltano, che i muti non parlano: in realtà ciascuno di voi potrebbe testimoniare i sorrisi, gli sguardi, le parole, la pazienza, la carità che quotidianamente segnano le vostre vite e ci fanno sperimentare che il regno dei cieli è già fra noi. Ringraziamo perciò il Signore di tutto questo e chiediamogli fiduciosamente che egli compia quanto ha iniziato. Che mai nessuno scandalo possa raffreddare la carità nei nostri cuori.
Come sapete, quest’anno si sarebbe dovuto celebrare il capitolo di tutta la vostra famiglia. Esso, come sempre, conclude e apre. Raccoglie il lungo lavoro del sessennio passato e inaugura una nuova pagina della storia della congregazione mariana nella vita della Chiesa. Quanto lavoro si è compiuto in questi sei anni! Esso si è svolto sotto i miei occhi e di ciò sono riconoscente. Desidero esprimere in questo modo la mia gratitudine anche a tutti coloro che con me hanno collaborato per una riforma della vostra vita, un cammino culminato nella visita canonica che presto concluderemo.
Quali sono stati temi e gli eventi centrali di questo cammino?
Innanzitutto la ricerca di una maggiore chiarezza intorno al carisma stesso della vostra famiglia. Non è sbagliato, né segno di incertezza tornare a chiedersi: “chi sono?”, “quali doni ho ricevuto?”. Sarebbe però negativo non rispondere con chiarezza a queste domande. Una chiarificazione del carisma richiede anche una rivisitazione storica della figura dei fondatori. E voi state iniziando. Voglio incoraggiare anche questo versante della vostra ricerca.
Nello stesso tempo, è necessario, dare alla vostra famiglia una definizione canonica adeguata alla sua crescita nella Chiesa e nella società, una definizione che corregga eventuali incertezze del passato e le permetta di vivere con maggior forza, libertà e autorevolezza il proprio cammino. So che state lavorando e riflettendo anche sulla formazione di coloro che sono chiamati a far parte della vostra comunità nei differenti rami in cui essa è andata lentamente crescendo. La profondità e la chiarezza del cammino formativo sono premesse fondamentali per una maturità feconda e lieta.
Ma non ho detto ancora la parola più importante: la vera riforma di tutta la Chiesa, come di ogni sua cellula, sta nell’umiltà e nella carità. Esse richiedono la contrizione del cuore per le colpe, la domanda di perdono e, se necessario, l’offerta del proprio. Il vero rinnovamento di una comunità ecclesiale avviene dall’interno. È opera dello Spirito che dobbiamo continuamente chiedere, implorando dal Padre e dal Figlio quell’acqua viva di cui la Samaritana, a cui il vangelo di oggi ci fa guardare, ha avuto dono da Gesù in persona. Egli non lo negherà a tutti coloro che lo chiedono con cuore seriamente pentito e filiale.
La vita degli ospiti delle nostre Case è una supplica continua a Dio di custodire nel mondo il sacramento della Chiesa per il bene di tutti gli uomini della terra.
Lasciamoci guidare dalla luce di Cristo. A lui, per intercessione di Maria Santissima e di santa Teresa di Gesù, rimettiamo i nostri desideri, le nostre preghiere e le nostre vite. In particolare in questa Messa affidiamo don Romano Zanni, che tra qualche giorno dovrà sottoporsi ad un importante intervento chirurgico. Come ho detto in un comunicato a tutta la diocesi, so che don Romano offre tutte le sue sofferenze per la Congregazione mariana. Desidero che alla sua preghiera si unisca quella di tutti noi per implorare dal Signore il felice esito dell’operazione, la sua guarigione e la fede necessaria per vivere ciò che il Signore ci mostrerà.
Possa l’offerta di questa sofferenza ottenere copiose grazie dal cielo per tutti i fratelli, le sorelle e i laici delle Case e per tutta la nostra Chiesa diocesana.
Amen.
+ Massimo Camisasca