Reggio Emilia, Basilica della Ghiara, 29 aprile 2020
Cari fratelli e sorelle,
questa sera sono qui in questa Basilica anche per voi, soprattutto per voi, per tutti voi che mi ascoltate o che non potete ascoltarmi, nella certezza che la mia preghiera vi raggiungerà tutti.
Sono qui in pellegrinaggio. Un pellegrinaggio simbolico, certo: da casa mia a qui sono pochi passi. Ma un pellegrinaggio reale dello spirito, perché sono qui per implorare la Madre per il dono della guarigione.
Nella prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, abbiamo ascoltato parole che parlano dell’attesa di un tempo nuovo, un tempo di rifioritura della natura e un tempo di guarigione dell’uomo: gli zoppi cammineranno, i sordi udranno, i muti parleranno, i ciechi vedranno (cf. Is 35,5-6). E tutta questa lunga attesa – non solo di Israele, ma del mondo intero – si è compiuta nella venuta di Gesù. Egli passò beneficando e sanando tutti coloro che erano sotto il potere del male, sotto il potere di Satana (cf. At 10,38) – così abbiamo ascoltato nella seconda lettura.
Nel Vangelo abbiamo visto realizzarsi questa lunga attesa, questa ardente profezia, attraverso il racconto di un caso di guarigione (Mc 7,31-37). Questa pagina di Vangelo ci è proposta in questa liturgia per ricordare Marchino, il ragazzino reggiano, poco più che un bambino, sordomuto, povero, solo, abbandonato dai suoi genitori, che qui veniva a pregare davanti all’immagine della Madonna della Ghiara. E qui è cominciato il suo dialogo con Maria: un dialogo di salvezza. Guardando l’immagine di Maria con Gesù bambino, a poco a poco Marchino si è immedesimato con quel bambino e si è rivolto alla madre. Non sappiamo se avesse già sentito parlare di lei in precedenza. Era sordomuto: non poteva essere raggiunto dalle parole degli altri; forse da qualche disegno sì, certamente da questa immagine della Ghiara.
Ma Maria gli ha parlato andando al di là della sua sordità. Ha parlato nel suo cuore e gli ha detto: “Sono io tua madre”. E il buio profondo, terribile, che agitava le giornate e i sonni di Marchino, si è riempito della luce che è venuta da questa voce: “Sono io tua madre, non sei solo, non sei abbandonato. Lo sguardo di Dio si è poggiato su di te”. Queste devono essere state le parole di Maria nel cuore e nella mente di Marco.
E allora in Marchino è nata una supplica: “Guariscimi. Fa’ che anch’io possa parlare per cantare le tue lodi, fa’ che anch’io possa ascoltare le voci che mi parlano di te”.
Ebbene, questa sera, cari fratelli e sorelle, siamo qui per la stessa ragione, per dire a Maria: “Mostrati nella tua maternità”. È la supplica che viene dal cuore del Vescovo, di tutti i sacerdoti, i diaconi e i fedeli della nostra Chiesa. E anche di tutti coloro che, pur non partecipando della nostra vita ecclesiale, sentono nella profondità del loro cuore il bisogno di un aiuto, di un aiuto più grande. E allora questa sera siamo fiduciosi, anche se non sappiamo come si svolgeranno le cose. Chiediamo a Maria: “Mostrati nella tua maternità, guarisci i corpi e i cuori”. La guarigione dei corpi non è sempre possibile, ma la guarigione dei cuori sì. Questo dipende dall’intervento di Dio, ma anche dalla nostra libertà.
“Guarisci, o Madre, i cuori! Portaci fuori dalla solitudine, dalla disperazione che attanaglia tanti fra di noi per la perdita di parenti e amici, per la perdita del lavoro! E quindi ti chiediamo, o Madre: non disprezzare le nostre suppliche, perché non si è mai sentito che qualcuno si sia rivolto a te senza essere aiutato”.
E l’aiuto che tu dai e vuoi dare a ciascuno, è proprio la guarigione del cuore. E quindi una fede più profonda, capace di generare la speranza anche nei momenti di difficoltà e di prova. Capace di sentire la vicinanza di Dio attraverso la vicinanza delle persone care o di chi aiuta. E questa è anche una grande responsabilità che noi abbiamo: farci prossimi a chi soffre, a chi è solo, disagiato, povero, abbandonato, affinché anche attraverso la nostra vicinanza brilli per le persone un raggio della vicinanza di Dio e della maternità di Maria.
La nostra supplica questa sera è fiduciosa, insistente, ragionevolmente insistente: “Tu, che hai sparso la tua protezione materna in tante occasioni della storia del mondo, vieni, vieni qui nella nostra Reggio, vieni nelle nostre terre, vieni e aiutaci! Aiutaci ad uscire da questa pandemia il prima possibile, ad essere persone che nulla trascurano di ciò che è necessario fare, affinché si possa uscire in fretta da questa pandemia”. Dobbiamo essere nello stesso tempo pazienti e costruttivi, coraggiosi e fiduciosi.
La preghiera è la nostra forza. In fondo la Chiesa chiede una cosa sola: poter pregare, soprattutto attraverso la forma più alta di preghiera che è l’Eucarestia. I cristiani non cercano privilegi: chiedono soltanto la possibilità di pregare. Quando ci sarà concesso di tornare a celebrare la Santa Messa con il popolo in sicurezza, nelle forme che saranno previste, potremo tornare al banchetto eucaristico, per celebrare le nozze tra l’umanità e il Figlio di Dio fatto uomo.
Cari fratelli e sorelle,
non sprechiamo questo tempo. Tempo di sacrificio, di clausura, di rapporti che molto spesso sono sacrificati, addirittura recisi, o semplicemente dilazionati: ma è un tempo favorevole. È come la prosecuzione della Quaresima e della Pasqua. Un tempo di conversione, di implorazione a Dio, di purificazione dei nostri cuori e delle nostre coscienze. Un tempo anche di essenzialità: la nostra vita ha bisogno di essenzialità. Forse alcune cose che abbiamo avuto non le avremo più; forse saremo chiamati a dei sacrifici economici per i nostri fratelli. Facciamo tutto ciò con cuore libero, gioioso, aperto, sapendo che un cuore che dona è già l’anticipo dell’eterno. E in questo modo, questa realtà di male potrà essere trasformata in un’occasione di bene, attraverso la conversione dei cuori.
“Maria, Regina di Reggio, ti supplichiamo: se rientra nel disegno di Dio, allontana da noi questa epidemia. Allontanala in fretta! E soprattutto guarisci i nostri cuori, affinché, attraverso le gioie e le sofferenze, possiamo già vivere in questa terra la luce gioiosa della vita che non finisce”.
Sia lodato Gesù Cristo.