Reggio Emilia, Cappella del Vescovado, 29 marzo 2020
Cari fratelli e sorelle,
rendiamo grazie a Dio che ci concede attraverso questa liturgia, e in particolare attraverso la pagina di Vangelo che abbiamo ora ascoltato (Gv 11,1-45), di entrare negli avvenimenti che stiamo vivendo. La vita di Gesù, infatti, parla a ciascuno di noi per illuminare dall’interno ciò che viviamo. E così ci aiuta a comprendere ciò che ci è accaduto, a ciascuno di noi e a tutto il mondo, in queste settimane. Il racconto del risuscitamento di Lazzaro è una pagina di Vangelo molto profonda, sapientemente scritta e costruita, e anche molto complessa. Cerchiamo di coglierne almeno qualche tratto essenziale.
Vorrei partire dalla triplice commozione di Gesù. In nessun altro momento della vita di Gesù troviamo delle espressioni simili: egli pianse e si commosse profondamente. I verbi greci sono straordinari nel descrivere questo movimento profondo, intimo, drammatico, del cuore di Cristo. Cuore di uomo, cuore di Dio. Quali sono le ragioni di questa commozione così profonda, capace di scuotere il cuore del Figlio di Dio e perciò il cuore di Dio stesso?
La prima ragione è una “ragione di partecipazione”, la volontà di partecipare a quel momento – momento triste da accettare per Marta e Maria e per la cerchia di persone che erano attorno a questa famiglia. Gesù non vuole essere lontano: sente che la sua amicizia – chiaramente affermata dall’evangelista Giovanni – lo porta a una condivisione totale della vita degli altri, e in particolare della vita di Lazzaro e delle sue sorelle. In un primo momento egli sembra rimanere lontano, ma ciò accade solamente affinché si manifesti la gloria di Dio. Decide di partire per il villaggio di Lazzaro, sapendo di mettere a rischio la propria vita, come i suoi discepoli gli avevano fatto notare. Quando c’è un’amicizia così profonda, quando c’è una condivisione di vita così ricca, neppure il rischio della vita può tenerci lontani. È quanto stiamo vivendo e vedendo in questi giorni: quante persone, soprattutto medici, paramedici e infermieri, ma anche le persone che esercitano il loro lavoro in altri campi, stanno mettendo a rischio la propria vita in ragione della comune partecipazione alla vita degli altri. E la cosa più dolorosa e faticosa è proprio che questa partecipazione in molti casi non ci sia concessa così come vorremmo viverla! Non possiamo infatti celebrare la liturgia con il nostro popolo, non possiamo andare a trovare o ricevere i nostri parenti e i nostri amici e, cosa più terribile di tutte, non possiamo assisterli nel momento del loro passaggio alla vita eterna, non possiamo accompagnarli al cimitero, non possiamo assistere al loro ultimo saluto.
Gesù sente che neppure il pericolo della vita può essere un ostacolo e decide di partire, di vivere questa condivisione profonda con le due sorelle del defunto. Anche noi possiamo vivere una condivisione profonda attraverso la preghiera e la partecipazione delle nostre sofferenze, delle nostre fatiche, al coro di sofferenze e di fatiche che gli altri vivono. Offrire a Dio: lui poi saprà distribuire la grazia con la sua saggezza, con la sua sapienza, con la sua generosità.
C’è una seconda ragione, ancora più profonda, di questo movimento dell’animo di Gesù, che nasce certo dalla partecipazione di cui ho finora parlato, ma che rivela degli aspetti ancora più misteriosi. Egli sa – e spero che tutti mi possiate comprendere bene – che in realtà non può liberare Lazzaro dalla morte. Anche se ora può temporaneamente riportarlo in vita, in realtà Lazzaro tornerà a morire: morirà due volte, come tutti gli altri pochi che furono risuscitati da lui durante il suo ministero. Questo turbamento di Gesù è dunque rivelatore della sua partecipazione non solo al nostro dolore di uomini, ma ancor più profondamente alla nostra condizione di uomini mortali. La morte è conseguenza del peccato che è entrato nel mondo per la trasgressione di Adamo: Dio non può liberarci da questa condizione di vita biologica. Egli può accompagnarci nella debolezza, nel dolore, nella fatica, ma non può esonerare nessuno di noi dalla nostra condizione mortale. Per arrivare alla vita bisogna passare attraverso la morte; per arrivare alla luce bisogna passare attraverso il buio; per arrivare alla gioia bisogna passare attraverso la prova.
In questa condizione di vita Dio ha deciso di coinvolgersi, patendo lui stesso le prove, le tentazioni, i dolori, le fatiche, le contraddizioni, le avversità e perfino la morte stessa – come fra pochi giorni nel Triduo pasquale vedremo e rivivremo. E questo è forse il motivo più profondo del turbamento di Gesù: non tanto la morte di Lazzaro, ma paradossalmente la sua risurrezione, e cioè il fatto che Lazzaro sarebbe dovuto ancora morire. Da questo nasce il suo sentimento di solidarietà profonda con la vita di tutti noi, di tutti gli uomini. Egli sa bene quanto sia stata e sia penetrante l’opera del demonio, del male nel mondo; quanto sia forte la lotta fra Dio e il demonio, fra la vita e la morte. Egli sa che questa lotta attraversa ogni persona, ogni vita umana. Certamente Dio è dalla nostra parte, e se ci affidiamo a lui ne usciremo vincitori, ma non è possibile scavalcare questo ostacolo della battaglia.
Ecco il motivo profondo del turbamento di Gesù: egli avverte il peccato di Adamo, avverte le conseguenze di tale colpa su tutta l’umanità e prova, fin nel profondo del suo animo – potremmo dire nel profondo della sua divinità – una partecipazione alla condizione di vita dell’uomo che lo commuove e lo scuote. Se ci abbandoniamo a Dio e lo seguiamo, nella nostra vita si apre una grande possibilità di bene. Ma molto spesso in noi c’è la tentazione di sottrarci all’abbraccio di Dio e di seguire le strade del nulla, del demonio, della nostra nientificazione.
C’è una terza ragione del fremito profondo che coglie Gesù, ed è che gli avvenimenti dei giorni della morte di Lazzaro e del dolore delle sorelle, nient’altro sono che un’anticipazione di ciò che sarebbe accaduto a lui stesso. Si tratta di una rivelazione, in anticipo, di ciò che stava per accadere. La morte di Lazzaro accade affinché si manifesti la gloria di Dio. Gesù lo dice chiaramente prima agli apostoli e poi alle sorelle: vedrete la gloria di Dio. Gloria di Dio è certamente la risurrezione di Lazzaro, ma essa è semplicemente una pallida anticipazione della resurrezione di Cristo stesso. Lazzaro risuscita nel suo corpo mortale. Cristo invece risorgerà in un corpo nuovo: egli sarà l’uomo nuovo, l’uomo che risuscita per non morie più, anticipazione della nostra sorte di uomini salvati.
Il fremito che coglie Gesù dunque significa: “Anch’io dovrò vivere la morte”. Egli percepisce, forse con un’intensità nuova, ciò che gli sarebbe accaduto. I discepoli glielo avevano detto: “Non andiamo in Giudea, là vogliono ucciderti”. Ma lui liberamente sceglie di andare. E questa è l’unica differenza: noi siamo sottomessi all’ineluttabilità della morte; Gesù invece sceglie liberamente di andare incontro alla propria morte. Egli non è un kamikaze, non sceglie il suicidio, ma accetta la morte che altri gli inferiscono. Ma in questo modo tutto l’episodio, così drammatico, si rischiara. E nelle parole che Gesù dice alle sorelle troviamo il significato più profondo di tutto, anche della nostra stessa storia personale. Gesù dice: chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno (Gv 11,25-26). Gesù passerà attraverso la morte biologica, ma gli sarà donato poi un corpo immortale, non più soggiacente alle leggi del tempo e dello spazio. È quanto accenna anche San Paolo nel brano che abbiamo ascoltato (Rm 8,8-11); è quanto il profeta Ezechiele ci rivela con una visione anticipatrice della storia del mondo (Ez 37,12-14).
Dunque questi giorni drammatici che stiamo vivendo devono aprirsi nella fede per fare spazio alla luce, anche se dobbiamo passare – e di fatto stiamo passando – attraverso prove e sofferenze, in moti casi gravissime. Ma Gesù ci dice oggi: “Anche se morti vivrete; anche se siete chiamati a passare attraverso tutte queste sofferenze vivrete, rivivrete, risorgerete. Risorgeremo a una vita nuova”. Questo è il grande annuncio che la Chiesa ci rivolge in questo tempo di Passione e di Pasqua.
Sia lodato Gesù Cristo.