Cattedrale di Reggio Emilia, 5 aprile 2020
Desidero che siano i fatti, e non le parole, ad avere la prevalenza durante questi giorni della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù. Perciò ora vi offro semplicemente qualche suggerimento affinché il nostro sguardo possa essere più direttamente fisso su ciò che accade.
Innanzitutto, in questa Settimana Santa vivremo – e abbiamo già iniziato a vivere – un mistero di obbedienza. Questa è la prima e più importante parola che dobbiamo dire: fatto obbediente fino alla morte e alla morte di Croce (Fil 2,8). In questa espressione si racchiude tutto il mistero di questi giorni. Cristo fu obbediente al Padre, che da sempre lo aveva pensato come colui che doveva guidare tutto il popolo di Dio all’unità. E siccome questo popolo era disperso, poiché aveva disobbedito un’infinità di volte già a partire da Adamo, non rimaneva che il sì di Dio a se stesso, il sì del Dio fatto uomo. Dunque il sì dell’uomo e il sì di Dio coincidono nella persona di Gesù. Anche noi dobbiamo entrare in questo mistero di obbedienza. Forse in questi giorni siamo condotti di necessità come mai prima d’ora a comprendere cosa significhi obbedire. A comprendere qual è il sacrificio che questa parola può comportare, ma anche qual è la speranza di vita nuova che essa dischiude. Ogni sacrificio è incommensurabile rispetto a quello di Cristo. Il sacrificio di Cristo è incommensurabile, non ha misura: eppure egli raccoglie ogni nostro sacrificio dentro il suo. E così ogni nostro sacrificio, piccolo o grande, acquisisce anch’esso una sua incommensurabilità, una sua preziosità, una sua eternità.
Non viviamo mai i sacrifici che ci sono imposti in questi giorni, in queste settimane e in questi mesi separandoli dal sacrificio di Cristo. In questo modo si dischiuderanno alla nostra vita orizzonti nuovi e luminosi, anche se essi ci costeranno sangue e fatiche.
In secondo luogo: contemplando la Passione di Gesù scopriamo che la sua obbedienza ha significato per lui non sottrarsi mai a ciò che accadeva. Gesù non ha desiderato la Croce: egli ha accettato la Croce, si è lasciato distendere sulla Croce. Ha capito in un certo momento della sua vita, e forse proprio nel giorno dell’ingresso a Gerusalemme che oggi stiamo rivivendo, che la sua obbedienza doveva arrivare fin lì. La sua vita è stata fin dall’inizio una consegna di sé agli eventi che il Padre suscitava, affinché la sua obbedienza fosse perfetta. In questi giorni contempliamo l’aspetto principale della sua obbedienza: egli si è caricato addosso tutto il nostro male. In questo sì che egli, Dio fatto uomo, ha detto al Padre, Gesù ha preso su di sé tutto il nostro male, anche il male di questi giorni. Certamente non in senso fisico, ma in senso spirituale, egli ha vissuto tutti i nostri dolori di questi giorni. È entrata in lui l’esperienza di tutto ciò che il male provoca nell’uomo, l’esperienza della dissociazione, della disperazione, dell’angoscia. La sua obbedienza ha voluto dire consegna di se stesso: non si è sottratto a chi gli strappava la barba, a chi lo ha voluto schiaffeggiare, sputacchiare, deridere e infine crocifiggere.
In terzo luogo, e da ultimo, la Passione di Gesù è esperienza di gloria. Attraverso l’obbedienza Egli ha visto la luce della Resurrezione: luce senza fine. E anche noi dobbiamo vivere questi giorni con questa consapevolezza: attraverso l’obbedienza vedremo la luce. Una luce nuova, più consapevole, più profonda e più matura si aprirà nelle nostre vite, nella misura della nostra obbedienza e della nostra partecipazione al mistero della vita di Gesù.
Amen.